Mettere piede nel bacino carbonifero di monte Sinni è come entrare in un luogo in cui il tempo si è fermato. A darne evidenza, all’ingresso, si trova il cartello che riporta i dati degli infortuni fermo al 2015, e che un tempo veniva quotidianamente aggiornato. Tutto appare bloccato.
Bloccato come la produzione. Nel 2017 infatti, i dipendenti della Carbosulcis sono rimasti in 350. Negli anni di massima produzione, avevano raggiunto anche le 18mila unità.
La miniera di carbone di Monte Sinni
In basso a sinistra nella cartina geografica della Sardegna si trova la zona del bacino carbonifero del Sulcis. Di un’area di 393 km² che dalla seconda metà dell’Ottocento ha dato occupazione alla popolazione locale arrivando ad impiegare, a cavallo tra gli anni 30 e 40, 18.000 minatori per l’estrazione di quasi 30 milioni di tonnellate di carbone, oggi resta in funzione solo la miniera sotterranea di Monte Sinni, gestita dalla Carbosulcis Spa, impresa partecipata totalmente dalla Regione Sardegna .
Silenzio, desolazione ed una calma irreale, è questa l’atmosfera afosa che trasuda fatica e tristezza e che accompagna chi fa ingresso nel sito carbonifero. Sito rilevato nel 1976 dall’Ente Minerario Sardo, dopo la gestione difficoltosa di Enel, il cui ricordo è stato impresso ad eterna memoria con una scritta al suolo davanti al cancello principale: ”VIA I NEMICI.. ENEL”.
Il previsto pensionamento dei dipendenti più anziani, unito all’impossibilità d’effettuare nuove assunzioni hanno addossato diverse ombre sul futuro della società stessa.
La miniera di monte Sinni nasce nel lontano 1853, quando venne data la prima concessione per la coltivazione. La storia del giacimento è fatta anche da momenti di grande produzione, come durante la I Guerra Mondiale.
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Scendere nel sottosuolo rappresenta un'esperienza estraniante. Avvolti dal buio e dalla polvere per dcenni i minatori hanno lavorato senza sosta all'estrazione del carbone.
Le condizioni lavorative sono state spesso al limite della sopportazione fisica.
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Oggi i dipendenti di Carbosulcis sono rimasti circa in 350, e sono in costante via di riduzione a causa delle fisiologiche uscite per pensionamento. La prospettiva infatti non è per nulla positiva dal punto di vista occupazionale, in quanto è previsto il termine delle attività estrattive nel 2018, per attuazione del piano di chiusura indotto dalla decisione dell’Unione Europea sugli aiuti di Stato per agevolare la chiusura di miniere di carbone non competitive. Il carbone sardo, infatti, ha un valore irrisorio, che ad oggi rende la coltivazione un’attività del tutto improduttiva e che ha trasformato l’azienda in una sorta di ente assistenziale nei confronti dei propri dipendenti, tenuto a galla con i soldi dei contribuenti. Quello del Sulcis è infatti un carbone giovane e povero, una lignite contenente molto zolfo, rivendibile solo a buonissimo mercato.
Questo è solo uno dei problemi che stanno riducendo inesorabilmente la possibilità di trovare un impiego in miniera, luogo che per molti anni è stata l’unica alternativa alla disoccupazione. Ma qui, un giorno, potrebbe essere possibile effettuare la separazione dell’aria nei suoi componenti fondamentali.
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Monte Sinni
Con il progetto “Aria”, la Regione Sardegna e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare hanno raggiunto un accordo per la rivalutazione del sito minerario per sviluppare la ricerca della materia oscura, avendo un impatto ambientale nullo.E rendere quindi il sito della Miniera di Monte Sinni un importante polo di ricerca alla stregua del Laboratorio del Gran Sasso.
Il principale elemento ricercato è l’argon-40, che potrebbe essere trovato con l’installazione in corrispondenza del pozzi di Seruci di un impianto tecnologico di altissimo livello. Queste infrastrutture potranno essere utilizzate inoltre per aumentare la disponibilità di tecnologie avanzate per lo screening medico, incluse le tecniche diagnostiche per la lotta al cancro. Si potranno infatti separare altri componenti pregiati dell’aria, come l’ossigeno-18 e il carbonio-13, dotati di un mercato internazionale di rilievo dal quale al momento l’Italia è esclusa.
Viaggio nella miniera di carbone
Sulcis
Il carbone sardo, infatti, ha un valore irrisorio, che ad oggi rende la coltivazione un’attività del tutto improduttiva e che ha trasformato l’azienda in una sorta di ente assistenziale nei confronti dei propri dipendenti, tenuto a galla con i soldi dei contribuenti. Quello del Sulcis è infatti un carbone giovane e povero, una lignite contenente molto zolfo, rivendibile solo a buonissimo mercato.
Questo è solo uno dei problemi che stanno riducendo inesorabilmente la possibilità di trovare un impiego in miniera, luogo che per molti anni è stata l’unica alternativa alla disoccupazione. Ma qui, un giorno, potrebbe essere possibile effettuare la separazione dell’aria nei suoi componenti fondamentali.
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Mettere piede nel bacino carbonifero di monte Sinni è come entrare in un luogo in cui il tempo si è fermato. A darne evidenza, all’ingresso, si trova il cartello che riporta i dati degli infortuni fermo al 2015, e che un tempo veniva quotidianamente aggiornato. Tutto appare bloccato.
Bloccato come la produzione. Nel 2017 infatti, i dipendenti della Carbosulcis sono rimasti in 350. Negli anni di massima produzione, avevano raggiunto anche le 18mila unità.
Il previsto pensionamento dei dipendenti più anziani, unito all’impossibilità d’effettuare nuove assunzioni hanno addossato diverse ombre sul futuro della società stessa.
La miniera di monte Sinni nasce nel lontano 1853, quando venne data la prima concessione per la coltivazione. La storia del giacimento è fatta anche da momenti di grande produzione, come durante la I Guerra Mondiale.
In basso a sinistra nella cartina geografica della Sardegna si trova la zona del bacino carbonifero del Sulcis. Di un’area di 393 km² che dalla seconda metà dell’Ottocento ha dato occupazione alla popolazione locale arrivando ad impiegare, a cavallo tra gli anni 30 e 40, 18.000 minatori per l’estrazione di quasi 30 milioni di tonnellate di carbone, oggi resta in funzione solo la miniera sotterranea di Monte Sinni, gestita dalla Carbosulcis Spa, impresa partecipata totalmente dalla Regione Sardegna .
Silenzio, desolazione ed una calma irreale, è questa l’atmosfera afosa che trasuda fatica e tristezza e che accompagna chi fa ingresso nel sito carbonifero. Sito rilevato nel 1976 dall’Ente Minerario Sardo, dopo la gestione difficoltosa di Enel, il cui ricordo è stato impresso ad eterna memoria con una scritta al suolo davanti al cancello principale: ”VIA I NEMICI.. ENEL”. Oggi i dipendenti di Carbosulcis sono rimasti circa in 350, e sono in costante via di riduzione a causa delle fisiologiche uscite per pensionamento. La prospettiva infatti non è per nulla positiva dal punto di vista occupazionale, in quanto è previsto il termine delle attività estrattive nel 2018, per attuazione del piano di chiusura indotto dalla decisione dell’Unione Europea sugli aiuti di Stato per agevolare la chiusura di miniere di carbone non competitive.
In basso a sinistra nella cartina geografica della Sardegna si trova la zona del bacino carbonifero del Sulcis. Di un’area di 393 km² che dalla seconda metà dell’Ottocento ha dato occupazione alla popolazione locale arrivando ad impiegare, a cavallo tra gli anni 30 e 40, 18.000 minatori per l’estrazione di quasi 30 milioni di tonnellate di carbone, oggi resta in funzione solo la miniera sotterranea di Monte Sinni, gestita dalla Carbosulcis Spa, impresa partecipata totalmente dalla Regione Sardegna .
Silenzio, desolazione ed una calma irreale, è questa l’atmosfera afosa che trasuda fatica e tristezza e che accompagna chi fa ingresso nel sito carbonifero. Sito rilevato nel 1976 dall’Ente Minerario Sardo, dopo la gestione difficoltosa di Enel, il cui ricordo è stato impresso ad eterna memoria con una scritta al suolo davanti al cancello principale: ”VIA I NEMICI.. ENEL”. Oggi i dipendenti di Carbosulcis sono rimasti circa in 350, e sono in costante via di riduzione a causa delle fisiologiche uscite per pensionamento. La prospettiva infatti non è per nulla positiva dal punto di vista occupazionale, in quanto è previsto il termine delle attività estrattive nel 2018, per attuazione del piano di chiusura indotto dalla decisione dell’Unione Europea sugli aiuti di Stato per agevolare la chiusura di miniere di carbone non competitive.
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Il tempo si è fermato
Mettere piede nel bacino carbonifero di monte Sinni è come entrare in un luogo in cui il tempo si è fermato. A darne evidenza, all’ingresso, si trova il cartello che riporta i dati degli infortuni fermo al 2015, e che un tempo veniva quotidianamente aggiornato. Tutto appare bloccato.
Bloccato come la produzione. Nel 2017 infatti, i dipendenti della Carbosulcis sono rimasti in 350. Negli anni di massima produzione, avevano raggiunto anche le 18mila unità.
Il previsto pensionamento dei dipendenti più anziani, unito all’impossibilità d’effettuare nuove assunzioni hanno addossato diverse ombre sul futuro della società stessa.
La miniera di monte Sinni nasce nel lontano 1853, quando venne data la prima concessione per la coltivazione. La storia del giacimento è fatta anche da momenti di grande produzione, come durante la I Guerra Mondiale.
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Le gallerie sono piene di scritte che i dipendenti negli anni hanno lasciato sulle pareti. Alcune, come questa, danno indicazioni relative ai percorsi interni.
Altri invece hanno toni più autoironici. All’interno della miniera sono presenti dei telefoni. È una linea interna utilizzata per chiamare i soccorsi.
I minatori per scendere nel sottosuolo si calano attraverso un pozzo con una piccola cabina di metallo, che scende a 3 metri al secondo grazie ad un argano. Nei tempi di massima produzione la discesa era composta anche da 25 persone contemporaneamente
I lavori all’interno delle gallerie sono fermi e tutto il materiale sembra essere lì immobile
La prima sala è la sala pompe, un luogo molto rumoroso in cui sono stipate tutte le macchine necessarie per il drenaggio dell’acqua nel sottosuolo
Oggi il lavoro in miniera consiste quasi esclusivamente nella manutenzione. Le gallerie necessitano di un’attenta manutenzione quotidiana affinché il tempo non le deteriori.
Nel bacino carbonifero di monte Sinni oggi ci sono 25 km di gallerie. Un tempo arrivavano ad essere un’ottantina, alcune risalenti anche a fine ‘800
Ogni minatore prima di scendere nel sottosuolo deve dotarsi dei dispositivi di sicurezza necessari: caschetto, luce frontale con annessa batteria, scarpe anti infortunistiche, parastinchi, cuffie anti rumore, guanti, occhiali e sistema di respirazione, da attivare in caso di emergenza e che consentirebbe di poter sopravvivere massimo 20 minuti nel sottosuolo in mancanza di ossigeno
L’illuminazione nelle gallerie è scarsa e consiste principalmente nella luce prodotta dalle pile frontali presenti nel caschetto
Per muoversi nelle gallerie di passaggio più spaziose si utilizza un’automobile. Il guidatore dev’essere un esperto conoscitore della miniera e molto attento
Capita di incrociare nel sottosuolo altri lavoratori. Ad oggi però il fatto avviene sporadicamente: il personale impiegato nel sottosuolo infatti non è più molto numeroso e si limita a compiere sopralluoghi utili alla manutenzione delle gallerie
Un minatore illustra come si svolge lo schema di coltivazione del carbone in miniera
Un minatore illustra le azioni per usare il macchinario per l’estrazione del carbone
Goliardia su bulloni per il mantenimento delle pareti
Il Land Rover utilizzato per la discesa nelle gallerie più spaziose
Gallerie con volte a botte
Il pozzo che verrà riconvertito attraverso il progetto per la separazione delle particelle componenti l’aria
In molte gallerie si trovano veri e propri giacimenti di materiale abbandonato, il cui costo del recupero è troppo alto e che quindi resterà inutilizzato per sempre.
Portone di passaggio tra le gallerie
Un dipendente della Carbosulcis Spa
Una delle prime gallerie ancor oggi in uso
L’argano che mette in moto la cabina di discesa per l’accesso alla miniera
Una delle prime gallerie ancor oggi in uso
Portone di passaggio tra le gallerie
In molte gallerie si trovano veri e propri giacimenti di materiale abbandonato, il cui costo del recupero è troppo alto e che quindi resterà inutilizzato per sempre.
In molte gallerie si trovano veri e propri giacimenti di materiale abbandonato, il cui costo del recupero è troppo alto e che quindi resterà inutilizzato per sempre.
Il Land Rover utilizzato per la discesa nelle gallerie più spaziose
Goliardia su bulloni per il mantenimento delle pareti
Goliardia su bulloni per il mantenimento delle pareti
Un minatore illustra le aizoni per usare il macchinario per l’estrazione del carbone
Un macchinario per l’estrazione del carbone
Un minatore illustra come si svolge lo schema di coltivazione del carbone in miniera
Capita di incrociare nel sottosuolo altri lavoratori. Ad oggi però il fatto avviene sporadicamente: il personale impiegato nel sottosuolo infatti non è più molto numeroso e si limita a compiere sopralluoghi utili alla manutenzione delle gallerie
Per muoversi nelle gallerie di passaggio più spaziose si utilizza un’automobile. Il guidatore dev’essere un esperto conoscitore della miniera e molto attento
L’illuminazione nelle gallerie è scarsa e consiste principalmente nella luce prodotta dalle pile frontali presenti nel caschetto
Ogni minatore prima di scendere nel sottosuolo deve dotarsi dei dispositivi di sicurezza necessari: caschetto, luce frontale con annessa batteria, scarpe anti infortunistiche, parastinchi, cuffie anti rumore, guanti, occhiali e sistema di respirazione, da attivare in caso di emergenza e che consentirebbe di poter sopravvivere massimo 20 minuti nel sottosuolo in mancanza di ossigeno
Ogni minatore prima di scendere nel sottosuolo deve dotarsi dei dispositivi di sicurezza necessari: caschetto, luce frontale con annessa batteria, scarpe anti infortunistiche, parastinchi, cuffie anti rumore, guanti, occhiali e sistema di respirazione, da attivare in caso di emergenza e che consentirebbe di poter sopravvivere massimo 20 minuti nel sottosuolo in mancanza di ossigeno
Nel bacino carbonifero di monte Sinni oggi ci sono 25 km di gallerie. Un tempo arrivavano ad essere un’ottantina, alcune risalenti anche a fine ‘800
Oggi il lavoro in miniera consiste quasi esclusivamente nella manutenzione. Le gallerie necessitano di un’attenta manutenzione quotidiana affinché il tempo non le deteriori.
La prima sala è la sala pompe, un luogo molto rumoroso in cui sono stipate tutte le macchine necessarie per il drenaggio dell’acqua nel sottosuolo
I minatori per scendere nel sottosuolo si calano attraverso un pozzo con una piccola cabina di metallo, che scende a 3 metri al secondo grazie ad un argano. Nei tempi di massima produzione la discesa era composta anche da 25 persone contemporaneamente
Altri invece hanno toni più autoironici. All’interno della miniera sono presenti dei telefoni. È una linea interna utilizzata per chiamare i soccorsi.
Le gallerie sono piene di scritte che i dipendenti negli anni hanno lasciato sulle pareti. Alcune, come questa, danno indicazioni relative ai percorsi interni